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M a d r i g a l e

by S p e l l b i n d e r

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1.
...- . -. - .. -- .. --. .-.. .. .- ¿Qué haces, mi vida? Ho perso il ritmo nella marcia. Apri le braccia apri le braccia apri le braccia apri le braccia apri le – Aquí está la salida. Per preservarmi dal panico dei passi portavi avanti dissertazioni brevi sulla necessità ginnica di tacere il battito – nella lotta, ovunque andassi, portavi giù le maniche fino all’orlo: dicevi “agitarsi è tutta una questione di polso”: ci vuole la giusta inclinazione. Adesso bevi. a denti stretti – a denti stretti avviso a tutti gli aventi diritto – a tutti gli aventi avviso a tutti – a viso aperto – a denti stretti a venti – miglia dal confine finestre sbattono storte: si dice siano perquisizioni, profezie in codice morse; a denti stretti – a denti stretti i loro vetri sono stelle cadenti. No tengas miedo, cariño. A venti miglia dal confine non ci sono segni di colluttazione; non ci sono tetti. Sai, da laggiù si vedono tutte le volte celesti; ricordi tutte le volte che nel sonno ci siamo rotti e redenti?
2.
La fiducia piegata e riposta nella merce brutta, pregiata, spinta sul legno, è una lisca – scialuppa sgraziata. Da un’ora appena la sua bocca non parla da un lato all’altro della faccia sta zitta, deforme, slabbrata. “Io so di cos’hai bisogno – tu aneli a un nuovo anelito di vita – una nuova serpe che morda i polpacci e che faccia scattare le membra: fischia l’arbitro l’inizio partita! – e tutti assistiamo, benché conosciamo benissimo l’esito – ognuno a suo modo – il gioco è truccato, non hai letto il copione?” HANNO MESSO UNA BOMBA AL MERCATO CENTRALE! HANNO MESSO UNA BOMBA AL MERCATO CENTRALE! Anna fa la bocca linea e se cammina storta è per la fuga indotta per la resa fulminea dei muscoli-ipotesi; “Forse è meglio se ti metti in fila e stai buono, con te ho appena iniziato.” Fissa il muro fra le cataste di prodotti, le zucchine i pomodori i ravanelli e prova il nuovo ketchup biologico sulla ferita aperta. Anna rinviene una traccia, solleva uno straccio, solleva il diaframma: questa cosa che freme poco sopra a dove si mangia – parlano le ricetrasmittenti alle volanti, il polso tace un andirivieni di ambulanze e di stampe. “Il nostro è uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve pur fare” dice la guardia con una voglia matta di violazione dei diritti umani negl’occhi “e poi insomma, se non consumi che cazzo vivi a fare?” AL MERCATO DEL NORD PER DUE SOLDI PORTA PALAZZO MIO PADRE COMPRÒ E venne il capo che aprì un locale che cacciò l’arabo che occupò la casa vicino al banco che al mercante mio padre affittò! Anna non guarda i colori, lei guarda la stoffa. Credeva all’arancia per terra, all’anguria aperta «l’unica buona da far assaggiare» diceva; credeva, con tutta se stessa, all’omuncolo grasso che strilla dal banco. Questa cosa va capita perché sussurra e muove gli scacchi. Questa cosa càpita, va trattata a dovere pigiata nei sacchi finché non la smette d’estendersi, piana. Dalla coperta isotermica spuntavano un paio di gambe – le scarpe rosse, allacciate. Un grande fuoco si è preso il suo altare di legno e se non cammina è perché adesso qualcosa la tiene, la indossa. Sputava, sputava, sputava tra i carri, la frutta e la piazza l’odore di shisha e di menta, lei aspetta la giusta marea smuove l'orgia dei panni ammassati sfiora l'onda che l'aria preme a fatica e non salpa. Anna ne ha di stoffa, da vendere. Le casse amplificano il battito al rallentatore – ecco, mi sto sbloccando ma non sono pronta, non sono pronta, non sono ancora pronta, cazzo! Dice: il mio posto è già questo “para qué necesito pies si tengo…” dice con le mani, con le mani ci si salva. Devo prendere prima un altro pezzo e metterlo sul nastro trasportatore farmi spazio tra le occhiate e le risa, le cascate di riso basmati e pepe rosa, allora mi volto e tutti hanno un volto fuori misura, il naso al posto dell’orecchio e gli occhi sulla fronte, che ognuno di loro scambia di volta in volta come pass-par-tout ed io non ho che questa sola faccia insieme a quella di riserva in dotazione per le occasioni speciali. Ci si salva con le mani frugando,frugando ci si salva. Si tira su qualcosa: si annaspa. Adesso chiede decisa: “dove mi porta?” – nessuno la ascolta. Ma questa è un’impostura dentro l’impostura: è una matrioska e tu hai bisogno di un nuovo soggetto – un nuovo osso da succhiare. Anna non vede i colori: lei sente la stoffa, fruga i morsi del vento. Sulla sua testa un foro largo si apre, ne esce il sangue. HANNO MESSO UNA BOMBA AL MERCATO CENTRALE! HANNO MESSO UNA BOMBA AL MERCATO CENTRALE! poi – mi guardo attorno, le macchine dell’aria condizionata sono guaste, tutti questi prodotti stanno marcendo e i clienti qui dentro stanno sudando, il volto cubista di prima ora è un volto espressionista dissolto, allora vorrei solo rompere il vetro della porta scorrevole e fuggire lontano con il maltolto ma devo ancora attendere – devo ancora aspettare che venga il mio turno che venga il mio turno che venga il mio turno di uscire a fumare.
3.
Certificati d’esistenza per animi incendiari: vuoti d’essenza, nell’assenza di un pensiero, farsi posto, Vergine, fra le macchine. Seminari d’ignoranza per antiparassitari e pranzi a ferro e fuoco, le prossime domeniche. Amico ti ringrazio per la solitudine, perché sostando ho trovato la scrittura e con essa mi sono riappropriata del pensiero. Madre ti ringrazio per gli schiaffi ed i rimproveri seguiti dai “ti voglio bene”, perché così ho imparato l’alternanza di gesti e parole. Amica ti ringrazio per i baci seguiti dai “lasciamo perdere” – seguiti dalle lacrime, dai “riproviamoci” – “è stato un errore”. Certificati d’astinenza per gli orgasmi mancati radunarsi spiccioli sotto un’unica voragine seguita dal freddo delle costellazioni e dai Pianeti. Ora spingi il carrello del supermarket, scegli quello che duri di più e costi meno, spingi la faccia contro il cartello della mostra: l’Arte è un cadavere e noi celebriamo il suo funerale l’amore è guasto corrotto insicuro, per te questo è marketing e non morte precoce. Ma quand’appiccheremo l’incendio, non avremo più nessuna parola! nessuna parola! nessuna parola! nessuna parola per descrivere adeguatamente il piacere sottile che taglia la carne, la mia pelle brucia e scoppia e ribolle. Bile cola sul marciapiede, unita alla vertigine di un pensiero vergine: “Chissà cos’ho provato quando venivo al mondo?” Quando non trovavo le parole per l’ingombro, né per questo senso di perenne farabutto coito erosionale interrotto che sale. La mia nascita dev’essere stato l’orgasmo migliore di mia madre (per questo lo ricorda così bene). Ecco le sirene cantare (mi riportano da dove provengo): Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? In ospedale. Ti prego, Amìr, non farmi morire. Ho bisogno di te. Ne ho bisogno adesso. Ti porto a scoprire le opere di Ziba Karbassi, ti porto a sentire la suite di Chopin, ti porto a… ti porto… ti_| *** Certificados de existencia para índoles pirómanas: huecos de esencia, en ausencia de juicio, encajarse angelical entre los coches. Seminarios de ignorancia para pesticidas almuerzos sangre-y-armas los próximos domingos. Amigo, te agradezco la soledad, porque en el atasco encontré la escritura y junto a ella recobré una idea. Madre te agradezco los golpes, los reproches precediendo los “te quiero”, porque así aprendí la alternancia gesto-palabra. Amiga te agradezco los besos precediendo los “dejémolo”, precediendo el dolor, los “volvamos a intentarlo” – “ha sido un error”. Certificados de abstinencia para orgasmos fallados apretujarse diminutos en la única hendidura perseguida por el frío de las estrellas y planetas. Ahora empuja el carrito del supermarket elige lo que más tiempo dure y menos cueste presiona tu cara contra el cartel de la exposición: el arte es un cadáver y aquí celebramos su funeral el amor está roto, suicio, precario para ti esto es marketing y no muerte precoz Mas cuando apliquemos el incendio ya no tendremos ¡ninguna palabra! ¡ninguna palabra! ¡ninguna palabra! ni una palabra para decir debidamente el placer sutil que hiende la carne mi piel arde – explota – hierve. Bilis llueve en la acera junto al vértigo de una vírgen idea: ¿Quién sabe qué sentí al entrar a este mundo? Cuando no se me ocurrían palabras para el agobio ni para esa sensación canalla de erosional coitus interruptus que sube. Mi nacimiento debe de haber sido el mejor clímax de mi madre (de ahí que lo acuerde tan bien). Aquí vienen las sirenas cantando (me devuelven al lugar del que vengo) ¿Quiénes somos? ¿De dónde venimos? ¿Hacia dónde vamos? Al hospital. Te ruego, Amir, que no me hagas morir. Te necesito. Te necesito ahora. Te llevo a conocer las obras de Ziba Karbassi Te llevo a escuchar la suite de Chopin Te llevo a… Te llevo… Te|
4.
M o l o c h 03:11
Eccomi, madre: io sono la cerva di Artemide e dolgo i peccati del mondo. Scatta dunque quest’ultima freccia, leva al cielo la lama, ché per troppa mia gioia o furore feristi la tua dignità. Quel che hai fatto, l’hai fatto per me – ciò che hai perso, l’hai perso per me: mi ci hai messo e dal mondo mi togli, tu creasti e distruggi. [Seduta a sorseggiare Pinot da un tumblero sventolando la vecchia vestaglia attendeva io tornassi: un’insonne figura faceva quasi (spavento, quasi) - in cucina - (e tenerezza) nel buio era spettro il suo sogno, il bisogno] : “Chi t’amerà se non io e chi se non il tuo petto può offrirmi il colostro?” Una vacca muggiva furiosa stamane – il capo fermo, tenuto alla sbarra – e due uomini irsuti all’ingrasso scortavano il piccolo nato da poco. Chissà tu a che pensavi discendendo io le tube uterine e di lì più in avanti mio padre accasciando sui fianchi nella suite dell’albergo in Emilia. Nello studio trattiene la mia collezione di premi, un avanzo dei semi innaffiati (il guadagno pei giorni sprecati a drizzarmi). Ma io storta correvo e fu tale lo scarto da non starci più dentro, più accanto. Ogni sera mi chiama, cianciamo: reclama “Io per terza t’ho detto mia madre e tu figlia!” Eccomi madre: io sono il bambino per Moloch – all’altare mi ci offro da solo. Una spada mi squarta la gola: ho gridato, vi ho detto fin troppo. La parola di carne è indulgenza, se vi salva la parte il mio dono. Simil prole non vuole dolore, la mia faccia non regge il mutare: se crepare mi lascerà uguale, io m’ammazzo! Brindate voi a questo olocausto: Per Moloch! Per Moloch! “Non si scelgono i figli e neppure i parenti” dicesti, un mattino d’estate. Io diversa da te non potevo che prenderne parte. Sappi solo che i giorni trascorsi non tornano intatti, rinati: non ci rassomigliamo nei gesti. Sono altro da te – non migliore, diversa soltanto – nuov’ortaggio “Io il tuo latte lo accetto”.
5.
M a t r i a 06:09
M’hai detto e so dei tuoi martiri l’intermittenza il rito asettico, la cosmesi e il resto. M’hai lasciato la malattia come dato certo, calcolato: è gesto – riproducibile – una lisca che s’infila nel sesso. “Ti verranno a prendere, adesso guarda bene: sotto ad ogni segno il muschio, le vene”. Mi spoglio sempre piano – trattengo il battito – faccio in modo d’aver di fianco – lo spazio per il sipario. M’hai dato la nascita-impresa: ripresa, reiterata, riconducibile alla scena. Le zone d’ombra innocue le ornamentali e poche figure astanti; la croce. Non penso che ai bordi del maggio in cui finivi non risorta fatta sputo materia. Prendo spunto dai giorni – mentivi? – applico il prezzo del canto, alla lingua il lento drenaggio. Ritratto. Non so più la sfilza delle cose così come cade dal petto, non cerco più case né assedio e resto adiacente la luce; la scorro così come scuote da tempo il fiato lo spago. Non tengo più la mano sul fuoco; ho già speso dell’uso i sintomi, appreso lo schema. Non sento – le ossa trema – la folla. La prognosi è generica, riservata ai fonici – tu smetti la voce, il capitolo: la morte è reato grave e diffuso. Ho chiuso spostando il braccio una serie di strade e fatica – tanta – e il latrato rimane una spinta dinastica – è magra la scritta – la figlia rimasta e mastica – mastica – mastica.

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W i l l o w S p e l l b i n d e r - M a d r i g a l e ( A p r i l e 2 0 2 0 )

T e s t i e v o c i : D a v i d e G a l i p ò
E l e n a C a p p a i B o n a n n i
C h i a r a D e C i l l i s

M u s i c a e A r r a n g i a m e n t i : I l a r i a L e m m o

R e c o r d i n g e m i x : D a v i d e B a v a, I l a r i a L e m m o

S o u n d e n g i n e e r i n g e m a s t e r : A l e x B r a t t i n i

C o v e r : O l i a S v e t l a n o v a

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released April 15, 2020

V e n t i m i g l i a
T e s t o E l e n a C a p p a i B o n a n n i
V o c i D a v i d e G a l i p ò
E l e n a C a p p a i B o n a n n i
C h i a r a D e C i l l i s
M u s i c a I l a r i a L e m m o

A n n a A l M e r c a t o C e n t r a l e
T e s t o D a v i d e G a l i p ò
E l e n a C a p p a i B o n a n n i
C h i a r a D e C i l l i s
V o c e C h i a r a D e C i l l i s
M u s i c a I l a r i a L e m m o

C e r t i f i c a t i d ' e s i s t e n z a p e r a n i m i i n c e n d i a r i
T e s t o D a v i d e G a l i p ò
T r a d u z i o n e E l e n a C a p p a i B o n a n n i
V o c i D a v i d e G a l i p ò
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M o l o c h
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